Maurizio Ongaro: Gran Cafè Tortoni - Buenos Aires.

 Gran Café Tortoni – Buenos Aires

Il luogo è quanto mai storico e tipico.

Ampio, liberty, ligneo e stuccato come un teatro.

Come se non bastasse, l’ultimo tavolino è occupato da un trittico di statue di cera, in grandezza naturale.
Vi è Borges, Jorge Luis Borges, raffigurato con occhi semichiusi (era ormai cieco ora della fine), seduto ed appoggiato al bastone.

Poi vi è Carlos Gardel. Una spiccata rassomiglianza con Fernandel. (ed infatti Gardel è di origine francese). È stato un grande del Tango.

Infine vi è Alfonsina Storni. È seduta ed ha gli occhi fissi e sta scrutando nel vuoto. Come se seguisse i suoi pensieri oppure i suoi ricordi.

Il locale trasuda Storia come e più di una cattedrale. 

Contrariamente ad una cattedrale, qua la Storia non è cristallizzata ed appesa alle pareti, oppure appiccicata sulle lapidi e sulle pietre. 

 

 

 

 

 

Nel Gran Café Tortoni la Storia scorre, perennemente. Come se fosse “liquida”. 

Un concentrato di Storia, intellettuale forse, inconcludente a volte, ma che identifica come la Storia prima di scendere in piazza, fermenti nei salotti, nelle sagrestie, per poi tornare ed essere “imbottigliata” nei Café, nel Gran Café Tortoni; appunto! 

Alle pareti quadri, dediche e qualche volta foto di modelle (cinquantenni dopo) davanti al quadro che immortalò il loro antico splendore. Ormai, purtroppo, svanito. 

Tutto passa. 

Ma tutto rimane, al Gran Café Tortoni. 

Rimane per la Storia, forse, per il Ricordo, per i turisti, per preservare dall’oblio, a favore dei nostalgici. 

Vi sono altri ambienti. Tre prestigiosi tavoli da biliardo, concludono la “navata” principale. Il tutto separato da una specie di separè. Come a dividere il sacro dal profano. 

I biliardi son verdi, lucidi ed illuminati in modo solare. 

E quasi sempre vuoti.

Il bancone invece scorre per tutta la sinistra della “navata” principale. Legno che sa di vecchio veliero. Vista poi la data di nascita del Gran Cafè Tortoni, il 1859, subito il pensiero va ai velieri, che allora erano le uniche navi che potevano solcare l’oceano. 

Epoca di velieri, appunto, di duelli, di gauchos (più che adesso) di avventura. 

Buones Aires sarà stata anche con meno strade e case, rispetto ad oggi, ma con nel suo nocciolo già i germi ed i semi per fiorire e maturare come è divenuta adesso. 

Buones Aires… 

Un nome che simboleggia immigrazione, nostalgia, speranza e magari delusioni cocenti per gli immigrati. Fatta da violoni alberati, veri e propri boulevard. Architettura pomposa, torreggiante, quasi da torta nuziale.

Ma torniamo al gran Cafè Tortoni. 

Rimane un’ultima sala. 

Quella degli spettacolini per turisti. 

L’ultima sala scodella due spettacoli ogni sera. Ed ogni sera con artisti differenti. 0vvero una dozzina di spettacoli diversi alla settimana. Diversi, ma probabilmente tutti uguali. 

Tipica attrazione per turisti. Ma tocca farlo, pria o poi. D’altronde, siam turisti. È inutile nascondercelo.

 

 

Lo spettacolino è presentato da un cantante-intrattenitore. 

Affettato come un salame. 

Dopo aver cantato, presentato i ballerini, si mette ad intrattenere il pubblico. 

Le solite cose: da dove venite? Ricordo vagamente, Messico, Ecuador, Perù, Brasile, Romania. Noi italiani e due francesi stipati casualmente al medesimo tavolo rimaniamo pudicamente in silenzio. 

Poi, dopo aver cantato, fatto canticchiare il pubblico (la Cumparsita, ovviamente), presentato i vari numeri dei ballerini, ha concluso comunicandoci che il CD con le sue canzoni era in vendita; di comprarlo visto che lui deve mantenere una moglie, un’amante ed un presidente. (ogni mondo è paese; mi riferisco al presidente, ovviamente).

Naturalmente lo spettacolino è farcito di Tango. (visto come sono bravi penso si meritino il maiuscolo). 

Tutto il Tango, a Buones Aires, è per turisti. 

Tangano per le strade, ovviamente nei quartieri coreografici; coppie ben vestite, con ormai attrezzatissimi supporti audio, ed inscenano vere e proprie esibizioni. Previo poi passar con il cappello. 

Avevo una vaga nozione del tango. Lo credevo un semplice ballo. 

Ed invece no. 

È un piccolo capolavoro esibizionista di ritmo, sincronismo, abilità, espressività e sensualità. 

Il Tango è triste. 

Ed è sensuale, sensualissimo.

Tutto raffigurato con una serie di mosse e passi, realizzati con bravura e perizia, sino a far sembrare i ballerini sincronizzati come ingranaggi di un orologio. 

Mima, simboleggia, raffigura tutta l’emotività di una storia d’amore che finisce male. 

Poco corrisposta, a volte. 

Lui ama lei. Lei ama lui. Ma non nello stesso modo o nello stesso tempo. Nella mimica vi è tutta la Storia d’Amore. 

Lui adocchia Lei. 

O forse Lei ha adocchiato Lui che, ineluttabilmente, viene attratto da Lei. 

Poi è tutto un prendersi, lasciarsi, avvicinarsi, respingersi, ghermirsi, cercar di sfuggire e ripiombar avvinghiati.

Sino a finali col caschè, in cui la coscia di Lei (immancabilmente inguantata in calze a rete autoreggenti o con giarrettiera) si avvinghia al bacino di Lui. In posa congelata, finale e definitiva. 

Nel Tango le gambe femminili sono prensili. Compassi su cui si ruota e con cui si misura il tutto. 

Il costume tipico dei ballerini di Tango è un elegante abito anni trenta per Lui, con il cappello. Il cappello è indispensabile. Per lei un abitino di qualunque foggia purché lasci libere le gambe. 

Nel ballo i ballerini si guardano, intensamente. 

Gli occhi negli occhi. 

Come se fossero avvinghiati non solo con l’ausilio delle braccia, ma anche con l’ausilio degli sguardi. 

Sguardi fissi, che ora della fine nell’immobilismo finale, si trasformano in fotografie o statue, immobili, come le tre statue di cera che hanno trovato nel gran Cafè Tortoni ormai il loro habitat naturale.

 

(25 marzo 2005) 

Maurizio Ongaro: Gran Cafè Tortoni - Buenos Aires.

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