Maurizio Ongaro: Incontro a Venezia.

 

INCONTRO A VENEZIA.

 

E' incredibile. E' accaduto.

Era sera e mi ero avviato per una passeggiata serotina.

Avevo fatto una meravigliosa pennica, che mi aveva ritemprato nel corpo e nello spirito.

E' incredibile quanto sia sfiancante la vita del turista; proprio vero:

"...Mestiè da boia fa' il turista...".

Mi ero avventurato per le varie calli e callette diretto verso l'Arsenale.

Ivi giunto avevo deviato per la riva degli Schiavoni e mi stavo dirigendo verso San Marco. Quand'ecco, mentre mi accingevo a gettare una carta nel cestino, mi sono sentito apostrofare:

"... ma c'è abbastanza luce per fotografare?...".

Era lei!

Sono rimasto annichilito.

Avevamo le stesse probabilità di incontrarci che di pescare due volte la medesima biglia da un barile colmo di biglie.

Erano le 21.17 ed era appena uscita dal Museo Corrier ove l'avevo incontrata il giorno prima.

Febbrilmente ho ripensato a tutto il mio itinerario di poco prima, a tutte le deviazioni e perdite di tempo che avevo subito, i "cul de sac" che avevo imboccato...

Ognuno aveva un preciso significato, farmi arrivare in perfetto orario con il mio destino ... o forse dovrei dire nostro destino.

Pazzesco!

Più ci penso più non posso che rimanere annichilito.

E' l'unico termine che descrive esattamente il mio stato d'animo.

Comunque, superato il primo momento le ho offerto di accompagnarmi, di farmi vedere la Venezia  invisibile ai turisti.

In effetti, mi lamentavo con lei, per noi turisti Venezia  ha come una doppia faccia. E' come se nella circolazione sanguigna veneziana vi siano globuli bianchi (i venexiani), i globuli rossi ed virus (i turisti).

Queste due entità si evitano a vicenda e quando proprio non possono fare a meno di incontrarsi si sopportano a mala pena.

Più passa il tempo più mi sento considerato sempre più virus da parte dei venexiani, purtroppo.

Amo tantissimo questa città e mi rincresce che solo lei e non i suoi abitanti mi vengano incontro.

In effetti ciò che mi manca è di superare la barriera invisibile che sorge tra virus ed anticorpi; e per abbattere quella tenace barriera ci vogliono due cose: il tempo ed un autoctono.

E chi meglio di lei poteva rappresentare l'autoctona, la guida alla Venezia  vera ed a me preclusa?

"Converrà che cominciamo con un'ombretta od uno "spitz" - esordì mentre ci incamminavamo verso S.M. Formosa, "perché‚ vedi" - continuò - "Venezia  ha una dimensione in più rispetto a tutti gli altri posti, quella liquida; quindi la si comprende meglio se la si vede e la si vive con un qualcosa di liquido in corpo, meglio se alcolico." - concluse sorridendo.

Detto fatto mi indicò man mano che vi passavamo vicino un paio di "baccanali" (tipici bar veneziani che oltre che servire vino ed alcolici servono anche meravigliosi "cicchetti" e stuzzichini).

Giungemmo in baccanale isolato e rumorosissimo. Era un locale molto vecchio, con un vetusto bancone ingombro di damigiane da cui venivano spillate le varie "ombrette" e con un tipico frigorifero a parete di tanto tempo fa, con gli sportelli in legno.

Dietro ad uno sportello vi era esposta una foto  di una qualche personaggio, mi è parso Toto Cotugno.

Lei ha commentato che se veniva messo in frigorifero probabilmente non era molto insensato.

La stanza accanto era arredata con un paio di tavoloni intorno ai quali era seduta una numerosa comitiva di giovani che faceva un baccano d'inferno.

(Ricordo che ad un certo punto proruppe un grido di "Viva la Mona!" il tutto salutato da bordate di entusiastiche approvazioni).

Forse ho capito la vera etimologia del termine baccanale. Probabilmente anziché da Bacco, deriva da baccano; oppure baccano deriva da baccanale, più probabilmente.

Non vi erano posti liberi ed il rumore che giungeva dallo stanzone adiacente superava di gran lunga quello che si sente negli stadi quando una squadra segna un goal; propendemmo per prendere un'ombretta al banco.

La mia guida (forse potrei anche chiamarla tutrice venexiana) chiese inizialmente due ombrette, poi ci pensò su e chiese qual cos'altro.

Il rumore era tale che non capii assolutamente nulla.

La barista era una donnetta minuta e svampitina che mise su di un angolo del bancone ingombro da zuccheriere e damigiane, un paio di scodelline bianche, quasi da gelato.

Poi iniziò un'avvincente caccia al tesoro alla ricerca di una qualche bottiglia.

Bisogna ammettere che l'impresa è stata molto ardua. Le bottiglie in quel locale erano in numero spropositato ed i luoghi dove veniva riposti erano i più disparati.

Non dimentichiamoci che a Venezia  non esistono le cantine e molto probabilmente nei veneziani vi è un'atavica componente marinara che induce a sfruttare ogni singolo spazio, buco, pertugio.

Finalmente la caccia al tesoro ebbe buon esito; da una cartone posto a terra dietro ai piedi venne estratta una bottiglia rigorosamente senza etichetta che venne stappata e mesciuta nelle scodelline bianche.

Era il Fragolino . Un vino meraviglioso che viene vendemmiato in questo periodo e tratto dall'uva americana, quell'uva nera dal sapore inconfondibile che arricchisce molte pergole.

Mentre sorseggiavamo il fragolino  capii il significato delle scodelline. E' un vino che va centellinato e non c'è che la coppa per poterlo annusare oltre che gustare, il tipico soddisfacimento di più sensi contemporaneamente, l'olfatto ed il gusto.

Molto epicureo!

Quando il casino raggiunse la soglia del dolore pagammo ed uscimmo, non senza che mi segnassi accuratamente l'indirizzo di quel posto.

"Ti piace la musica classica?" - mi chiese Erica (questo è il nome della mia tutrice venexiana) "Certamente!" - risposi senza dover neanche mentire

Così raggiungemmo un altro posto, un club privato, con tanto di tessera per potervi accedere.

Era un luogo assolutamente opposto al precedente.

Confortevole, silenzioso, vuoto, minuto, elegante e raffinato.

Le note di un pezzo di sinfonica piovevano da un paio di altoparlanti posti alla parete.

Vi erano pochi tavoli racchiusi da divanetti, anziché le sedie, un tavolino con una scacchiera approntata.

Alle pareti vi erano dei quadri molto in stile con l'ambiente. Credo proprio che vari casini veneziani dei secoli scorsi fossero così.

Insomma, un ambiente da sogno!

Chiacchierammo amabilmente per ore, sorseggiando un loro ottimo vino e concludendo la serata con un Irisch coffe. (peccato che la panna fosso un poco rancida o almeno, non fresca)

Pian piano ci scoprivamo a vicenda.

Lei è dell'acquario, del '64, un Drago[1].

E' strana e non riesco a inquadrarla perfettamente. Vi son momenti in cui sembra che reciti; o è dovuto al frangente.

Io ero molto... euforico, ma soprattutto tranquillo. Insomma, niente eccitazione, né‚ panico, né‚ stereotipi, né obbiettivi.

Mi godevo il momento, sperando di poterla rincontrare, oppure volevo o sapevo che tutto ciò era il primo momento, la prima puntata. Non volevo rovinare tutto né precipitare. Ero calmo, stranamente calmo.

Non ero eccitato...

Uscimmo e mi chiese se l'accompagnavo a casa, al Lido.

(e figurati se le rispondevo di no).

Con il vaporetto scendemmo al Casinò .

Là appresi che il Casinò , nei mesi estivi, si trasferisce al Lido.

Sul vaporetto vi era Ghezzi (quello di Blob ) in perfetto stile RAITRE: abbigliato praticamente, un foglio arrotolato che gli spuntava dalla tasca posteriore dei pantaloni ed era con una tipa che assomigliava all'attrice di Almodovar, la Pepa..

Tutta la fauna che stazionava intorno al Lido era molto da "Trionfo dei portaborse", come mi ha fatto notare lei.

E' giusto fuori sede che il portaborse si conquista l'agognata dimensione; quella di colui che a furia di strusciarsi impara le movenze e le posature del potere, atteggiandosi esageratemente.

Prendemmo il bicchiere della staffa in un bar adiacente al palazzo della mostra, farcito da tipetti e tipette appena usciti dalle ultime proiezioni. Sembrava di essere a Brera in un locale "in" il sabato sera. In compenso le "mise" andavano dagli apprendisti Indiana Jones (tipo me e Ghezzi) agli smoking.

Devo ammettere che non mi son sentito assolutamente a disagio; direi anzi che ci provavo gusto.

Dopo aver ordinato al banco e ricevuto il drink con mia grande sorpresa ci accomodammo ad un tavolino esterno.

Le feci notare che ciò a Milano  non sarebbe stato possibile, viste le differenze di prezzo dal bancone al tavolo. Mi rispose, stupita, che là tutto ciò era normale.

Mi sentivo molto come se fossi straniero: lingua, abitudini e particolari di vita erano differenti rispetto al mio usuale.

La serata stava volgendo alla fine ed ultimato il drink la accompagnai al suo portone, nonostante le sue schermite proteste.

Si chiama "servizio a domicilio".

Sempre accompagnare una donna fino al suo portone.

E' un'abitudine che si è persa e purtroppo viene capita poco e spesso travisata come un espediente per scroccare il bacio della buona notte. Ah! "Oh tempora..."

La salutai e mi accinsi a tornare all'imbarcadero, non senza essermi preso accuratamente nota dell'indirizzo della fanciulla.

All'imbarcadero vi era un sacco di gente ingrugnata. Capii subito il motivo. Il vaporetto delle 3.20 era in panne. Se non riuscivano a mandarne un altro vi era la possibilità di aspettare un'oretta.

Per fortuna un gruppo di ragazzi appena usciti da una discoteca conosceva i luoghi e si incamminarono verso l'imbarcadero principale del Lido (S.M. Elisabetta) ove partiva il vaporetto numero 1 alle 3.46. Lungo la strada ebbi modo di scambiare quattro chiacchiere con uno dei ragazzi. Commentammo divertiti che grazia all'acqua a Venezia  non vi sono stragi del sabato sera.

Infatti si ritorna a piedi.

Pensavo che là non vi era molto pregiudizio.

A Milano  mi avrebbero guardato con sospetto.

Il vaporetto della linea 1 partì in orario (meno male) se pur lentamente, dovuto ad un banco di nebbia. Ci voleva pure questa!

In effetti il servizio pubblico veneziano funziona ininterrottamente, se pur con frequenze notturne molto rallentate.

In effetti non si può isolare tra loro le varie località della laguna.

Il banco di nebbia si trasformò in foschia e stentavo a riconoscere i vari luoghi man mano che vi transitavamo.

In più i vari palazzi non erano più illuminati e questo rendeva difficile l'identificazione.

Come Dio volle alle 4.35 sbarcai a Ca' D'oro e, svegliando il povero portiere notturno, andai finalmente a letto.

Sotto le lenzuola sentivo la stanza ballare intorno a me, come se fossi ancora in vaporetto, ed udivo nella mia mente il fruscio di una lontana risacca.

(venerdì 11 settembre 1992)



[1]Mi riferisco ai segni zodiacali Cinesi

      

 

 Maurizio Ongaro: Incontro a Venezia.

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