Maurizio OM Ongaro_La Frontiera(breve digressione ed analisi critica).

La Frontiera (breve digressione ed analisi critica).

1.  Ferdinando Fasce : Le Frontiere del discorso storico:

Rileggendo Fred Jackson Turner , Rivista Àcoma , Rivista interni di studi americani, 1, 1, Primavera 1994 (pp. 40-48)

Cfr: http://209.85.135.104/search?q=cache:5kjABqy6_PsJ:www.sissco.it/ariadne/loader.php/it/www/sissco/pubblicazioni/........

 

CONFINI

Che bell’articolo!

Denso, pieno di riferimenti sia pur messo in modo quasi discorsivo, quasi da racconto.

Tutto nasce dalla conferenza dal titolo “Significato della frontiera nella storia americana” che Frederick Jackson Turner  tenne il 12 luglio 1893, nell’ambito delle celebrazioni colombiane di Chicago, che passò alla storia come White City [1].

La Frontiera  di e secondo Turner  non è solo una locazione geografica mutante. Una specie di confine che si muove, man mano, come la linea dell’orizzonte o la fine dell’arcobaleno; una vera e propria “illusione ottico-geografica” che si è spostata man mano che la spinta espansionistica dei pionieri la spingevano in avanti, con la forza di un pistone di una macchina a vapore, sino all’Oceano Pacifico .

Vedevo una scena del film di Sergio Leone  “C'era una volta il West [2]” in cui il personaggio Morton (interpretato da Gabriele Ferzetti ) si ferma a guardare un quadro rappresentante le onde dell’Oceano, l’Oceano Pacifico , la meta finale della ferrovia e l’estremo limite della Frontiera .

Ed infatti la Frontiera , per Turner , finisce con il bollettino dell’Ufficio del Censimento  nel quale si dà notizia della sua “chiusura”, la fine della Frontiera.

Una Frontiera  romantica, dalla raffigurazione che ci dà Turner . La corrispondenza del Mediterraneo  per i Greci antichi , come l’avrebbe vista Ulisse , per intenderci.

Ovvero Avventura, Epopea e Storia.

Ed Origini, tra l’altro.

Si perché nella conferenza di Turner  non è tanto la Prateria  o la Frontiera  il “personaggio” principale. Lo scenario è “accessorio”.

Sono le genti, i Pionieri , gli immigrati (rigorosamente di razza bianca e di origine europea) i veri e “mitici” personaggi.

Come cita l’articolo: «… vi si potevano riconoscere gli echi ancora ben vivi del “mito agrario” e dell’American Promise, variamente intrecciati alle intonazioni razziste del “destino manifesto” e del darwinismo sociale…»

Un mito, forse già divenuto Storia, fondato sulle genti che, spinte da sete di conquiste, fama, gloria, o più semplicemente sussistenza, si spinge man mano sempre più ad Ovest, spostando sempre di più la Frontiera  più in là… Verso l’Oceano Pacifico .

Come se fossero terre libere alla conquista.

L’articolo lo chiama “un inizio continuo” un “punto di partenza sempre nuovo, su di una frontiera mobile” la “rinascita perenne”.

Bellissimo!

E spiega anche molto sulla mentalità americana, che percepiamo dai libri, dai film, da tutte quelle caratteristiche economiche, tecnologiche, politiche, militari, che ci arrivano ogni giorno dai mille rivoli dei media.

Un popolo nato e forgiato nella Frontiera , con delle radici estirpate spesso dall’Europa , che sin dagli albori ha dovuto viaggiare, lottare, strappare a terra e natura, combattendo contro di essa in continuazione, sino a considerare normale, ad esempio, essere armati; vedi l’infinita problematica legislativa, ma mi piace citare uno per tutti il film “Bowling a Columbine[3] ove vengono trattate problematiche inerenti le armi che altrimenti non si capirebbero con gli occhi un europeo che ormai di selvaggio ha a mala pena qualche isoletta e nemmeno quella, il tutto da secoli immemori.

Anche sulle terre (mi piace chiamarle praterie) vi son definizioni che sfiorano il rigore scientifico con la cadenza quasi poetica: «terre libere da rendita» un po’ come le caselline del Monopoli  quando un giocatore vi cade per la prima volta ed ha l’opzione di poterle acquistare, in quei casi picchettarle e farsi riconoscere la proprietà.

Come se fossero territori selvaggi e disabitati.

Bella l’immagine turneriana che assume lo sguardo del colono (o Pioniere) che la wilderness [4] “tira giù dalla carrozza ferroviaria”, per vestirlo da cacciatore, spingendolo “nella capanna di tronchi d’albero del Cherokeee  dell’Irochese ”.

Già, e sin da qua iniziamo a convalidare i nostri sospetti tali per cui non fossero completamente disabitate, queste terre.

Selvagge, forse, ma NON disabitate.

Ed ecco che i «…“pellirosse” o “selvaggi” sono anche risorsa e stimolo per il popolo americano in formazione. Risorsa, perché da loro vengono i mocassini di daino e le “piste indiane” alle quali è indispensabile adattarsi quando ci si trovi improvvisamente precipitati in uno stadio evolutivo più semplice, un “ambiente agli inizi troppo violento per l’uomo bianco”. Stimolo, perché è sotto l’impulso della “frontiera indiana” che il bianco ha imparato a organizzarsi politicamente in comunità locali e poi in “congressi intercoloniali” e “progetti di unione”, gettando così i semi delle “tendenze unificatrici del periodo rivoluzionario”.

Ancora, la frontiera (indiana) è stata “scuola di addestramento militare” e ha alimentato “la capacità di resistenza all’aggressione, sviluppando le qualità rudi e vigorose del frontiersman” »

Ci fa molto piacere che gli incontrastati abitanti precedenti di queste terre, di questa Prateria , di questo wilderness , siano serviti (con il loro genocidio, con la loro emigrazione coatta) a rafforzare il carattere dei pionieri, oltre che forgiare le loro facoltà belliche e bellicose, probabilmente offrendosi come bersagli (in fuga) onde meglio sviluppare le facoltà di mira e di accuratezza nello sparo e successiva rapida ricarica.

Certo, è inutile ergersi a giudici. Io, noi, in quanto europei ed italiani, discendiamo da un popolo, i romani, che tutto questo lo fece per millenni e pochi considerano la cosa da quel punto di vista.

La Storia (facoltà cui son iscritto e che si occupa di studiarla) oltre che focalizzarsi spesso, troppo spesso sui personaggi, più che le genti o gli eventi, è “scritta” dai vincitori, o come minimo raccontata da loro.

E solo recentemente si inizia a raccontare la Storia anche dalla parte dei nativi nordamericani, cui toccò in sorte un soprannome generico, “indiani”, frutto di un colossale equivoco iniziale.

Buffo poi che “indiani” venissero chiamati al Nord (ove non mi pare che Colombo si sia mai avventurato) anziché al Sud, ove fu sin dall’inizio toccata dai primi conquistadores . Vero che al Sud venivano chiamati “indios” che è la stessa cosa.

È interessante notare questa civiltà che marcia in fila indiana – il bisonte che segue la pista verso le sorgenti d’acqua, il pellerossa, il cacciatore di animali da pelliccia e il mercante di pelli, il mandriano, il pioniere che costruisce la fattoria cui io aggiungerei la ferrovia e tutto il resto a corollario finale.

Il resto è lo sfruttamento intensivo ed il depredamento o sconvolgimento successivo.

Penso, per certi versi, che quello che accadde nelle varie corse all’oro americane, che riporto puntigliosamente da Wikipedia :

·        California  (1849), la Corsa all'oro californiana;

·        Colorado  alla fine degli anni 1850, la Corsa all'oro del Colorado;

·        Nevada  settentrionale, dagli anni 1850;

·        Black Hills e altre aree del Montana , dopo il 1863;

·        Klondike , nello Yukon  (Canada 1896), la Corsa all'oro del Klondike.

·        Alaska  (1898)

·        I Monti Appalachi  meridionali, negli USA, a nord di Atlanta  e ad ovest di Charlotte .

 

Nel caso delle corse all’oro penso che siano accaduti fenomeni consimili a quanto occorso all’ormai ex wilderness  solo che con una rapidità disarmante.

Scoperta (in un altro ambito potrei quasi parlare di stupro) di un territorio selvaggio anche se ricco o foriero di benefici.

Arrivo, nel caso delle corse all’oro in massa, nella Frontiera  alla spicciolata, di pionieri. Un arrivo mai “conservativo”, ma sempre e comunque “intrusivo”, se non “sostitutivo” (prendo in prestito termini da restauro)

Seguito da ferrovie che niente lasciavano più come prima.

Sfruttamento più o meno massificato e sistematico. Diciamo pure depauperamento.

Alla fine?

Alla fine nel caso delle corse all’oro l’esaurimento e l’abbandono di città e stanziamenti.

Nel caso della caduta dell’ultima frontiera verso il mare, l’Oceano Pacifico , la radicata trasformazione del territorio.

Sia per la coltura (a volte addirittura sconvolgente e decisivo, anche se conseguenze che si videro molto più tardi, come nel caso del Dust Bowl [5]) che per gli abitanti precedenti, siano essi i bisonti o i nativi americani .

Ma una volta letto Turner , inteso come il bellissimo articolo di Ferdinando Fasce , passiamo un po’ ad Alan Brinkley  ovvero a Walter Prescott Webb .


Il West  nella recente storiografia americana

Titolo Rivista: SOCIETÀ E STORIA

Autori o Curatori: Alan Brinkley  

Anno di pubblicazione: 1993 Fascicolo: 59

 

Già l’esordio, ove si dice «Cosa può fare il biografo per una regione dove i personaggi di spicco sono così pochi?» mi ha fatto rimembrare frasi sentite in aula inerenti a storia fatta da personaggi e basta, ed a recriminazioni sul fatto che il West  NON abbia personaggi.

E francamente mi è tornata lampante in mente una bellissima poesia di Bertold Brecht  che riporto integralmente (tanto è breve) e che amo tantissimo:

Bertold Brecht , "Domande di un lettore operaio"

Chi costruì Tebe  dalle Sette Porte?

Dentro i libri ci sono i nomi dei re.

I re hanno trascinato quei blocchi di pietra?

Babilonia  tante volte distrutta,

chi altrettante la riedificò?

In quali case di Lima  lucente d'oro abitavano i costruttori?

Dove andarono i muratori, la sera che terminarono la Grande Muraglia ?

La grande Roma è piena di archi di trionfo. Chi li costruì? Su chi trionfarono i Cesari ?

La celebrata Bisanzio  aveva solo palazzi per i suoi abitanti?

Anche nella favolosa Atlantide  nella notte che il mare li inghiottì, affogarono implorando aiuto dai loro schiavi.

Il giovane Alessandro conquistò l'India .

Lui solo?

Cesare  sconfisse i Galli .

Non aveva con sé nemmeno un cuoco?

Filippo di Spagna  pianse, quando la sua flotta fu affondata. Nessun altro pianse?

Federico II vinse la guerra dei Sette Anni. Chi vinse oltre a lui?

Ogni pagina una vittoria.

Chi cucinò la cena della vittoria?

Ogni dieci anni un grande uomo.

Chi ne pagò le spese?

Tante vicende.

Tante domande.

E così, a mò di dedica o epitaffio, possiamo continuare nella lettura.

Ed iniziamo ad apprendere che i miei/nostri precedenti sospetti sulla presunta sa prateria selvaggia e disabilitata non furono solo miei/nostri. Nell’articolo si arriva a parlare di “ripudio di Frederick Jackson Turner ”.

Direi che, a distanza di tempo, di poco tempo, «…la visione etnocentrico e trionfalista, l’enfasi da lui posta sull’individualismo, il suo bisogno di sottolineare la discontinuità storica»

Concordo, c’è poco da dire.

E mi fa piacere che in questo articolo, notevolmente critico nei confronti di Turner , si inizi a parlare di «Civiltà complesse ed altamente sviluppate (indiani o “americani nativi ”) oltre che ad ispanici, sangue-misto o “meticci” e altri) che già esistevano nella regione»

Ci fa piacere che la solita Storia, che dicevamo prima, viene “raccontata dai vincitori” abbia una voce che ricordi anche i personaggi esistenti prima dell’arrivo, dicevamo a pistone, dei nuovi colonizzatori , familiarmente celebrati come pionieri.

Anzi, non li chiamano nemmeno colonizzatori . Ma conquistatori  veri e propri.

Termine che siamo avvezzi a sentire pronunciare nell’accezione spagnola, “conquistadores ”, che richiamano all’orecchio spade, cavalli e tanto sangue, ovviamente quello altrui, quello dei nativi, quello dei conquistati.

Già in questo articolo sentiamo, finalmente, parlare di «… un processo di “convergenza” culturale, una costante competizione ed interazione – economico, politica, culturale e linguistica – fra diversi popoli. Il West  di Turner  era un luogo di eroismo, di trionfo e soprattutto di progresso, un luogo in cui gli anglo-americani diffusero democrazia[6] e civiltà raggiungendo terre non ancora “addomesticate”.

Il West  che i nuovi storici descrivono è un luogo molto meno felice – in cui il coraggio ed il successo coesistono con l’oppressione, l’avidità ed il fallimento.»

Mi son permesso di ricopiare questo brano perché lo trovo esaustivo.

La visione di Turner  è sempre e comunque vista con i miopi e daltonici (più azzeccato se pensiamo al colore della pelle dei personaggi del West ) occhiali dello storico pregiudiziale.

Che prescinde dagli abitanti, si focalizza sul trionfo dei vincitori.

Poi, sempre leggendo questo articolo, saltano fuori le prime considerazioni economiche, che da sempre son abituato ad usare come filtro o cartina di tornasole per trovare le recondite e spesso le più banali motivazioni di ogni singola azione dell’uomo.

Le motivazioni economiche!

Non posso continuare a riportare brani integrali del secondo articolo, anche se lo meriterebbe. Una fuggevole occhiata alle scansioni rivela che l’ho sottolineato parecchio, in molti punti quasi integralmente.

Segno inequivocabile che sposo appieno o son stato convinto pienamente dal testo.

Ma continuiamo con le motivazioni economiche.

Apprendiamo, sinceramente con molto poco stupore, che la Conquista del West  fu spinta da motivazioni di reperimento di risorse, diciamo quasi di rapina e, cosa che questa volta mi ha stupito, che i pionieri NON erano autosufficienti, non lo furono mai.

Con buona pace dei mocassini da indiani e delle capanne stile indiano.

Che i Pionieri  necessitarono di pesanti interventi statali, da ferrovie sovvenzionate dal governo, da truppe federali, l’esercito (altro che romantici richiami al Settimo Cavalleria sulle note di Garry Owen [7]) e più tardi da opere pubbliche quali dighe e canali, magari anche fatte in ottica da New Deal[8].

E poi l’articolo mi richiama su di un’altra dimenticanza su cui, lo ammetto, non avevo fatto caso.

L’impronta tipicamente maschilista sulle vicende del West .

Già, è vero.

Chi però cucinava i pasti ai Pionieri ?

Chi allevava i figli?

Chi “combatteva” giorno per giorno nei campi, nelle praterie, sui carri.

(potrei continuare per ore, ovviamente)

Eppure…

Visto che NON vi son state né “cow girl”, né ranger né sceriffe, le povere donne hanno continuato a far figli, allevarli, tener sulle spalle il tutto… senza che nessuno ne abbia MAI celebrato le gesta.

(A meno che non lavorassero in un saloon, o meno prosaicamente in un bordello… ma queste son cose che non è bello raccontare)

Penso che abbia reso tantissimo l’idea di un personaggio di frontiera femminile addirittura Carl Barks [9], ovvero con l’invenzione del personaggio Doretta Doremì[10]. Nella storia “Zio Paperone  e la stella del polo” del 1952 viene descritta come ex “bella dello Yucon”, che trovano alla fine della sua esistenza, da sola, in una sperduta valle (“Il fosso dell’agonia bianca”) a combattere tutti i giorni contro lupi famelici, addomesticando un orso, in mezzo a quella natura selvaggia che Turner  dava ormai per conquistata.

E se Ulisse  è, probabilmente un personaggio di fantasia così ben rappresentante un’epoca e una mentalità, non vedo perché non lo possa essere anche la buona Doretta Doremì…

Ma il vero nocciolo del problema emerge a pagina 157:

«Fare a pezzi i miti del West  americano è in effetti qualcosa che sconcerta milioni di persone…»

Eh già.

Non solo perché il West  è un mito artificiale creato da Hollywood , tanto che Clint Eastwood  dice: «Per quanto ne so, gli americani non hanno nessuna forma d'arte originale se non i film western ed il jazz[11]»

Ma è anche “L’UNICO” mito che hanno.

Quello primordiale.

Quello con cui si son “riscattati” da una originaria origine straniera, di immigrazione e con quello si son “forgiati” come americani.

E come si fa a farlo crollare?

Come si fa ad ammettere che “non era vero niente”?

Che non era così prosaico, eroico?

Un mito che è addirittura diventato una forma d’arte, almeno per come la pensa Clint Eastwood ?

 

Sarebbe, né più e né meno, come comunicare ad un erede al trono che, in realtà, non lo è affatto e fu scambiato con un altro nella culla in ospedale al momento della nascita.

 

E qua l’articolo, a pagina 158, ci da un’altra interessante scoperta.

Che ma maggior parte degli studi ambientalisti hanno come origini l’analisi della Storia del West .

Che per Donald Worster , che ha scritto libri importanti (tra cui appunto “Dust Bowl ” e “Rivers of Empire”) il West  fu una società idraulica. Ovvero aver reso fertile il deserto, in California  ed Arizona, mediante dighe e canali, è uno dei grandi risultati della moderna storia del West.

A prescindere che proprio grazie dal Dust Bowl  dovremmo essere sempre un po’ dubbiosi sugli effettivi benefici di questi sconvolgimenti, prendiamo atto che il pensiero di Donald Worster  è appunto che tutto ciò ha corrisposto ad un disastro di proporzione epiche, contribuendo a creare il Dust Bowl (di cui Worster è figlio e vittima assieme visto che i suoi dovettero emigrare a quei tempi, come mirabilmente descritto nel film: The Grapes of Wrath  (1940) di John Ford  tratto da un racconto di John Steinbeck [12])

In più Donald Worster  aggiunge anche che: «Il dominio umano sulla natura è molto semplicemente un’illusione, il sogno fuggevole di una specie ingenua»

Il che, francamente, alla prova dei fatti anche e solo di questi ultimi 30 anni, mi trova pienamente e consapevolmente d’accordo.

Questo articolo ha strappato la benda, non che fosse stata molto stretta, non solo sul mito del West , ma addirittura sul fallimento stesso del significato del mito del West, ovvero che “con il duro lavoro si possono dominare gli elementi e volgerli a proprio favore”.

Poi son bastati degli anni di siccità per spazzare via il tutto, come sabbia nella prateria, appunto, come accadde nel Dust Bowl .

 

Ed arriviamo al nodo focale multietnico.

L’articolo cita il pensiero di John Mack Faragher  che: «La storia della Frontiera  ha al suo centro la storia del contatto tra culture, della loro competizione e dei loro continui rapporti.»

Asserisce che nessuna altra regione ha avuto un’esperienza così lunga di ed intensa di diversità razziale ed etnica.

Ed infine David J. Weber  ed Elliot West  ribadiscono che la multietnicità è data anche dall’energico scambio tra conquistati e conquistatori .

 

Francamente non credo che sia proprio andata così.

Però passerei, per meglio convalidare la mia tesi, al pregevole libro Alexis de Tocqueville : “Di democrazia in America”


La democrazia in America / Alexis de Tocqueville[13] ; a cura di Giorgio Candeloro. - Milano  : Biblioteca universale Rizzoli, 1992. - 780 p

 

Un ottimo libro, innanzi tutto.

Alexis Henri Charles de Clérel, visconte di Tocqueville , (Verneuil-sur-Seine, Ile-de-France, 29 luglio 1805 - Cannes, 16 aprile 1859), fu pensatore, politico e storico francese.

Nel 1831, Alexis de Tocqueville  e Gustave de Beaumont, entrambi francesi, furono inviati dal governo francese per raccogliere informazioni sul sistema carcerario americano. Giunti a New York in maggio, essi passarono nove mesi in viaggio attraverso gli Stati uniti, osservando non soltanto le prigioni, ma parecchi aspetti della società americana, ivi compresi quello economico e quello politico.

Ed ecco che ne esce un libro corposo, quasi enciclopedico, sulla democrazia negli Stati Uniti.

La cosa che mi ha più colpito, riferita al Capitolo X del Secondo Volume.

A parte ciò son rimasto abbastanza colpito sia dalla chiarezza d’esposizione, direi dettagliata, quasi analitica e sia dal fatto che pur essendo stata “rilevata” nel 1831, ovvero una settantina di anni prima della conferenza di Turner  e più di centosettanta anni fa, sia ancora di una lucidità e precisione non indifferenti.

De Tocqueville  identifica esattamente tre razze presenti sul territorio: i bianchi, gli indiani (adesso li chiamiamo Americani Nativi ) ed i Negri  (adesso li chiamiamo Neri  o Afroamericani e da adesso in poi ci atterremo scrupolosamente a queste nuove terminologie).

Subito de Tocqueville  le tre razze le dichiara “nemiche” ovvero in stato di belligeranza tra loro. (con buona pace della futura multietnicità precedentemente citata).

Ovvio che la posizione era netta e ben delineata.

Gli Americani Nativi  scacciati ed i Neri  tenuti in stato di schiavitù: più nemiche di così…

Ovvio anche che le caratteristiche somatiche, soprattutto dei Neri , ne rendono il riconoscimento (e come tale il razzismo) evidente ed immediato.

Effettivamente queste tre razze non hanno nulla in comune: né l’origine, né le caratteristiche somatiche, né la lingua e tanto meno i costumi.

E de Tocqueville  non va tanto per il sottile: dice chiaramente (p. 316) che il bianco tratta le altre due etnie come l’uomo tratta gli animali: si fa servire da loro e quando non può piegarli (o non son più utili) li distrugge[14].

C’è una forte influenza rousseauiana nelle parole di de Tocqueville : quando dice che prima della venuta dei bianchi gli Americani Nativi  “mostravano i vizi e le virtù dei popoli incivili”.[15]

Così  notiamo che mentre il Nero è al limite estremo della servitù, invece l’Americano Nativo è al limite della libertà.

Con il Nero che ha perduto perfino la proprietà della sua persona e non può disporre della sua esistenza, senza commettere una specie di furto.

Ed è interessante notare come gli Americani Nativi  non abbiano preso nulla (fino al 1832, poi i superstiti avrebbero avuto poca importanza temo) delle abitudini e della cosiddetta civiltà dei bianchi.

Già a pagina 319 si parla chiaramente della distruzione degli Americani Nativi .

Ed in effetti, leggendo attentamente pagina 320 ed annesse note, si nota che l’arma primordiale (prima di prenderli a fucilate dichiarando pomposamente che “l’unico indiano buono è un indiano morto!”[16]) per scacciare gli indiani fu il CONSUMISMO!

Prima gli “uomini bianchi” hanno portato le armi da fuoco, il ferro e l’acquavite.

Poi li hanno insegnato a sostituire i loro vestiti con i tessuti industriali.

Così , i Nativi americani contrassero gusti nuovi ma NON il modo per soddisfarli.

Così  hanno iniziato a scambiare pellicce ed altri manufatti che si procuravano nelle loro foreste. Così non cacciavano più per il proprio bisogno, ma per soddisfare quelli, enormi, degli uomini bianchi, procurandosi merce di scambio e procedendo così allo spopolamento degli animali delle foreste. Che erano il loro UNICO sostentamento, visto che i Nativi Americani  non coltivavano ed erano, di fatto, una civiltà nomade e dedita alla caccia.

Ed intanto, con l’arrivo dei primi bianchi in pianta stabile, gli animali più o meno selvaggi arretravano. E con loro i Nativi Americani .

Sino all’estinzione o sterminio di entrambi, pensiamo solo ai bisonti oltre che ai Nativi Americani . Perché come fa giustamente notare Tocqueville , la fuga della selvaggina ha il medesimo effetto che ha per un agricoltore la sterilità dei campi…

Era come un masso in un lago.

Arrivavano i bianchi, le onde del loro rumore e dell’impatto nel territorio scacciava i precedenti residenti (animali e Nativi Americani ) sempre più in là, verso un effimero Ovest e spostando la Frontiera  passo a passo.

Il famoso pistone di cui già si parlava.

E così, sempre citando Tocqueville , i poveri Nativi Americani  avevano: «Dietro di loro la fame, davanti la guerra ed ovunque la miseria.»

Ovvio che per consumismo si intende anche pagare (una cifra che viene citata a p. 325 come «… così gli americani acquistarono a vile prezzo provincie intere che i più ricchi sovrani di Europa  non potrebbero pagare [il giusto valore].»

Un po’ come narra la leggenda accadde per Manhattan , che fu acquistata dagli olandesi ai Nativi Americani  per un sacchetto di cianfrusaglie[17].

Ed infine Tocqueville  pronostica che i Nativi Americani  avevano due strade per salvarsi: la guerra o la civiltà. O distruggere i bianchi o divenirne uguali.

Prevalse la terza via: essere distrutti, dopo ormai lunga agonia, verso il 1870 circa.

La formula di superiorità e di emarginazione era, in quel lontano 1831, molto semplice. Il bianco possedeva i segreti della coltivazione. Cosa che I Nativi Americani  non conoscevano ed a cui non ambivano, inizialmente. Poi il fatto che il bianco fosse in mezzo ad una popolazione di cui conosce e condivide i bisogni ed il Nativo NO, gioca a sfavore di quest’ultimo.

Ed a nulla valsero trattati o solenni impegni e promesse, come ben documentato a pagina 334-335 in cui, tristemente, i Nativi Americani  riconoscono che quando la “razza degli uomini rossi” era forte e potente e quella degli uomini bianchi era debole e bisognosa d’aiuto, i nativi accolsero ed aiutarono i bianchi.

Che, volta per volta, disconoscono trattati fatti poco prima.

Le pagine trasudano di tristezza. La classica tristezza che si prova quando un uomo, un popolo, una nazione disconoscono la parola data, senza nemmeno tante ipocrisie. Se la rimangiano e basta!

Tocqueville  finisce, tristemente, concludendo che «Da qualunque parte lo si esamini il destino degli indigeni dell’America del Nord non si vedono che mali irrimediabili: se essi restano selvaggi, vengono sospinti dall’avanzata dei bianchi; se vogliono incivilirsi, il contatto degli uomini più civili li abbandona all’oppressione ed alla miseria; se continuano ad errare di deserto in deserto, periscono; se tentano di fissarsi, periscono lo stesso.»

E de Tocqueville  non poteva prevedere la “mazzata finale” delle guerre  indiane, che conclusero drasticamente la loro autonomia e la loro razza in modo ignominioso.

 

Ed a proposito di trattamento di razze in modo ignomignoso dal capitolo susseguente, a partire da p. 336, si parla di Neri .

E comincia la descrizione della tragedia.

Una tragedia di nome schiavitù.

Son rimasto molto colpito quando chiacchieravo, poco tempo fa, con mio nipote Jurij undicenne. Si parlava di Grecia  antica ed antichi romani. Lo spunto era il suo libro di scuola che, giustamente, faceva tutto un lunghissimo panegirico sul fatto che la Grecia antica era stata la culla della civiltà con arti, scienze e democrazia.

Io lo mettevo in guardia sul fatto che nella tanto osannata Grecia  antica si era inventata la democrazia, ma fintanto che vi era la schiavitù proprio di democrazia perfetta non si poteva parlare.

E quando mio nipote Jurij apprese da me che la schiavitù fu abolita non più tardi di 140 anni fa (pensavo giusto agli Stati Uniti, se non altro i paesi del Sud) rimase stupefatto.

Ovviamente non ho avuto il coraggio di dirgli che la schiavitù non è stata proprio debellata e certe forme di sudditanza o dipendenza son ancora maledettamente presenti tutt’ora.

Ma a prescindere ho trovato che se un bimbo si stupisce della presenza della schiavitù in America, anche se fino a 140 anni fa, figuriamoci un nobile francese, nipote dei lumi e passato attraverso la rivoluzione francese.

 

La prima osservazione è che essendo di due razze diverse, (e pure evidenti all’occhio se mi è consentito) questo faceva si che il semplice fatto di essere di pelle scura rendesse sempre un uomo schiavo agli occhi di un bianco.

Anche se non era schiavo, anche se era affrancato, ovvero un liberto, come lo chiama de Tocqueville .

Infatti nei popoli antichi, ad esempio nell’antica Roma, gli schiavi appartenevano spesso alla medesima razza dei “padroni”[18] e spesso quando gli schiavi riacquistavano la libertà si introducevano perfettamente nella società, spesso sino a raggiungerne i vertici[19].

Invece, quasi due millenni più tardi, nella novella, democratica ed opulenta America, ciò non avveniva e non sarebbe avvenuto nemmeno ad un secolo dopo la liberazione.

Vorrei citare, a tal fatta, tre brevi e sporadici flash a controprova.

1.  leggevo incuriosito che durante tutta la Seconda Guerra Mondiale i Neri  NON combatterono MAI in prima linea o altrove; al massimo si occuparono di sussistenza o salmerie. Una delle punte più incredibili avvenne in un campo di prigionia americano in Germania , dopo la resa tedesca, ove i turni mensa, debitamente distinti per razze ed etnie, facevano si che PRIMA venissero serviti i sondati americani (di razza bianca, of corse), POI i prigionieri tedeschi (di razza ariana) ed INFINE i Neri.

2.  Göring [20], nel contempo, imperniò la sua difesa al processo di Norimberga  in risposta alle accuse di genocidio, in particolare alla promulgazione delle Leggi Razziali di Norimberga, rispondendo alle accuse di razzismo (nei confronti degli ebrei) rispondendo che ANCHE gli Americani, nei confronti della razza Nera, si comportavano più o meno allo stesso modo. (ovvio che ciò era riferito alle Leggi Razziali, NON al genocidio successivo.)

3.  Solo negli anni ’60 del secolo scorso vennero riconosciute in America, con il Civil Rights Act (1964) e con il Voting Rights Act (1965) [21].

 

Per cui direi che la lunga ed esatta disamina di de Tocqueville  sulla questione razziale sarebbe stata sostanzialmente attuale per oltre 130 anni dopo la data di pubblicazione.

A parte le giuste considerazioni tal per cui un Nero “affrancato” non poteva dividere NULLA con un bianco («…né i diritti, né i piaceri, né i lavori, né i dolori, né la tomba di colui cui è stato dichiarato uguale; non può incontrarsi con lui (il bianco) né nella vita né nella morte.)

Dalla disamina di Tocqueville  emergono un paio di considerazioni di ordine sociale-economico che mi hanno molto colpito.

La prima è che tra due stati confinanti e quindi a pari condizioni, nello stato SENZA schiavi aumentavano in popolazione, ricchezza, benessere più rapidamente delle nazioni, anche confinanti, che ne avevano. Per far ciò Tocqueville  cita i due stati (Kentucky  e Ohio ) sulle rive del fiume Ohio, quindi a pari condizioni territoriali.

Figura 1 - Kentucky

 

Figura 2 - Ohio

 

In pratica la schiavitù, «così funesta per lo schiavo lo era anche per il padrone.» perché non solo l’operaio è sì più costoso (rispetto allo schiavo), ma lavora più rapidamente dello schiavo e la rapidità d’esecuzione è uno dei grandi elementi dell’economia.

E qua emergono i contorni del grande “Sogno Americano [22]”.

Il cemento con cui è stata edificata l’America.

L’avidità[23], detta con altri termini. Che ne è stato il meccanismo propulsore, e non solo per quanto riguarda gli Stati Uniti d’America, ma per tutta l’umanità intera. In America è solo avvenuto tutto più in fretta ed in scala maggiore.

Infatti lo nota anche Tocqueville , a pagina 343, quando dice: «…Vi è qualcosa di meraviglioso nelle risorse del suo genio e una specie di eroismo nella sua avidità di guadagno

Parlando appunto della popolazione industriosa dell’Ohio  e, più tardi, in generale degli stati del Nord, che avevano abrogato o limitato la schiavitù.

Ovviamente l’affrancamento dalla schiavitù, si parla sempre degli stati del Nord, non risolve tutti i problemi. Per certi versi li crea.

Quando uno Stato si accingeva ad abrogare la schiavitù, ecco che tutti i proprietari di schiavi si affrettavano a venderli negli stati del Sud (creando così una dimensione economica alla ributtante vicenda) facendo si che il valore degli schiavi (son sempre molto colpito a trattare valenze economiche da Domanda  e Offerta  sull’argomento) nel Sud diminuisse, causa eccesso di offerta, e rendendola vieppiù conveniente a breve e medio termine.

Quindi l’abolizione della schiavitù nel Nord, come cita Tocqueville  a pagina 347, non «.. non fa dunque arrivare lo schiavo alla libertà, gli fa solo cambiare padrone; dal Settentrione al Mezzogiorno.»

Inoltre, «I negri [SIC] affrancati invece e quelli che nascono dopo l’abolizione della schiavitù non abbandonano il Nord per passare al Sud, ma si trovano di fronte agli europei in una posizione analoga degli indigeni [Nativi Americani ], restano semicivili e privi di diritti in mezzo ad una popolazione infinitamente superiore in ricchezza e cultura: sono in preda alla tirannia delle leggi.»

Ed ecco che Tocqueville  acquisisce una visione quasi profetica in quel di pagina 353, quando dice che: «Se bisogna fare delle previsioni, direi che, seguendo il corso probabile delle cose, l’abolizione della schiavitù nel Sud farà crescere la ripugnanza che la popolazione bianca ha per i neri.»

Non che ci volesse molto, ma è interessante notare, ad esempio, che per avere un attore cinematografico di etnia Nera, o Afroamericano, dovremmo arrivare a Sidney Poitier [24] “La parete di fango[25]del 1958 oltre che all’indimenticabile “Indovina chi viene a cena?[26]

Ovviamente taccio sull’Oscar a Hattie McDaniel [27], la Mamy di “Via col vento” che, sostanzialmente, interpretava (meravigliosamente) lo stereotipo della “schiava negra”.

Ed ho voluto citare un aspetto americano che così tanto ha raffigurato l’immagine (o la proiezione freudiana) degli Stati Uniti d’America.

Ambito tra l’altro, che ha contribuito a creare il Mito del West , della Frontiera , appunto.

Mi parso interessante, anche se purtroppo marginale, l’esperimento della Liberia [28] ove un gruppo di filantropi fece sì che si creasse una colonia di Neri ; una specie di restituzione alla libertà nel loro habitat di una modesta parte di “animali dello zoo”.

Interessante, indubbiamente, ma come fa notare anche de Tocqueville , anche marginale. Parla di duemila neri contro i due milioni di schiavi (e trecentoventimila affrancati) presenti negli USA nel 1930.

Quello che si chiama, in statistica, percentuale irrilevante…


IN merito al testo: “Tra natura e storia : ambiente, economie, risorse in Italia / Piero Bevilacqua. - Roma : Donzelli, [1996]. - 224 p. ; 22 cm”.

A pagina [44-45]. […] le coltivazioni di riso assumevano spesso una funzione migliorativa del contesto ambientale di origine, oppure potevano quando meno valutare il merito economico di creare nuove aree di produzione e di ricchezza. Anche se ciò accadeva a prezzo di un uso troppo spesso spregiudicato della salute della vita stessa di uomini e donne, costretti dal bisogno a fungere da pionieri in una frontiera della bonificazione per essi assai poco prospera.


Conclusioni

Io temo che la chiave di lettura, addirittura chiave di volta di tutto ciò, sia il binomio Progresso-contro-Natura.

Io, della classe 1961, ho questo radicato e profondo ricordo di un’epoca ante-ecologica, tal per cui il Progresso era fondamentale e, per questo, dovesse dominare la Natura.

Come una specie di clessidra in cui se si butta Progresso la Natura fuoriesce lentamente dall’imbuto e finisca per disperdersi e per NON poter più tornare indietro.

E, da sempre, dai tempi delle rivoluzioni industriali, dai tempi dei binari del treno nel West , sempre e comunque siamo in una civiltà del Progresso. E, se non recentemente, obiettare qualcosa contro il Progresso, spesso perché si erge sui frantumi della Natura, era quasi una bestemmia.

Da sempre l’argomentazione più forte, spesso l’unica, che motivava lo sconvolgimento irreversibile della Natura era che veniva fatto “nel nome del Progresso”. Oppure che “non si poteva fermare il Progresso”.

Ovvio, occorrerebbe distinguere e far distinguere bene la differenza tra Progresso e Consumismo, che pur essendo parenti, lo sono esattamente come lo erano Abele e Caino. Ovvero contrapposti.

E da sempre il Progresso si è cibato, voracemente, di risorse naturali lasciando spesso in cambio solo inquinamento ed a volte distruzione.

Prima con la legna, con i disboscamenti.

Poi con il carbone .

Ed ora con il petrolio.

Ed il tutto, purtroppo, avvenne anche inutilmente. Nel senso che non era poi così necessario deturpare, sconvolgere e distruggere per la sopravvivenza umana.

Prendiamo l’esempio della Frontiera .

Non dico che fosse inutile, però sicuramente non era vitale o indispensabile alla sopravvivenza della novella nazione americana.

Non erano affamati tanto da doversi cibare, esclusivamente, dei prodotti di una terra che dovevano ancora conquistare, per poi coltivare.

Tanto che ci vorrà mezzo secolo prima che esportino i frutti di quelle terre.

Ed allora, perché ci fu la Frontiera ?

Perché migliaia di coloni furono mandati allo sbaraglio, novelli conquistadores , verso territori impervi e sconosciuti, con conseguenze epocali nei confronti del territorio, flora e fauna oltre che nei confronti delle popolazioni locali?

Temo che la risposta sia sempre la stessa: Consumismo.

Certo, tornava utile “conquistare” un immenso territorio ricco di risorse. Utile, ma non indispensabile.

Ma tornava più utile per mettere in moto tutti i meccanismi industriali atti ad inventare e poi poter alimentare un nuovo mercato; sia pure impiantando ferrovie (che poi verso la fine del secolo si dimostrarono talmente in perdita da dover essere nazionalizzate); un nuovo mercato che tutte quelle genti man mano avrebbero popolato.

La Frontiera , inoltre, tornava utile per “parcheggiare” una mole di immigrazione costante e continua che altrimenti avrebbe trasformato le grandi città di arrivo in immense megalopoli con annesse bidonville, come era la Londra  di epoca dickensiana. Insomma, tornava utile come “valvola di sicurezza”.

E tutto questo a prezzo di cosa?

Di una popolazione sterminata, di una Natura irreversibilmente trasformata, che avrebbe poi presentato il conto nei secoli a venire.

Pensiamo al Dust Bowl , ma anche al trattato di Kioto, a tutt’ora NON ratificato dagli Stati Uniti d’America (perché non conveniente) oltre al fatto di aver continuato a depredare territori man mano più lontani, prelevando materie prime e dando in cambio manufatti scadenti venduti come sempre a caro prezzo.

Tutto ciò mi ricorda (per voler finire con una citazione di più) un punto focale del film Matrix:

Mi è capitato mentre cercavo di classificare la vostra specie. Improvvisamente ho capito che voi non siete dei veri mammiferi: tutti i mammiferi di questo pianeta d'istinto sviluppano un naturale equilibrio con l'ambiente circostante, cosa che voi umani non fate. Vi insediate in una zona e vi moltiplicate, vi moltiplicate finché ogni risorsa naturale non si esaurisce. E l'unico modo in cui sapete sopravvivere è quello di spostarvi in un'altra zona ricca. C'è un altro organismo su questo pianeta che adotta lo stesso comportamento, e sai qual è? Il virus. Gli esseri umani sono un'infezione estesa, un cancro per questo pianeta: siete una piaga.[29]

Maurizio “OM” Ongaro

Domenica 31 dicembre 2006

 



[3]Bowling a Columbine, premio Oscar 2003, è il documentario che ha reso famoso a livello mondiale il regista Michael Moore . Il film è dedicato al tema dell'uso delle armi in America, facendo riferimento alle stragi nelle scuole americane, in particolare al massacro della Columbine High School, vicino a Denver e Littleton, nel Colorado , nella quale due ragazzi armati di fucile, dopo una partita di bowling, entrarono nella loro scuola e si uccisero dopo aver tenuto in ostaggio per ore la scuola facendo fuoco verso i loro stessi compagni.

Si tratta di un documentario girato con una buona dose di coraggio e desiderio di approfondimento di un tema a vasta eco sociale, che ha portato l'autore in giro per il paese, fino al notevole finale - sotto l'aspetto documentaristico - con l'intervista all'ex-attore Charlton Heston , presidente della NRA, la National Rifle Association (letteralmente Associazione Nazionale dei Fucili in inglese).

Spostatosi in Canada per approfondire il tema dell'uso delle armi, Moore giunge alla conclusione che non è l'arma in sé a creare il crimine, ma la paura del crimine stesso che negli Stati Uniti, attraverso i suoi mezzi d'informazione e l'uso politico delle differenze sociali, porta chiunque a diffidare del prossimo, trascinando questi contrasti a forme di difesa personale eccessiva.

 http://it.wikipedia.org/wiki/Bowling_a_Columbine

 

[4] Wilderness ovvero "natura selvaggia",

 http://it.wikipedia.org/wiki/Wilderness

 

[6] Mi pare che l’inveterata abitudine americana di “esportare la democrazia” possa trarre origini da tempi lontani, tempi di frontiera e che non abbia ancora avuto fine. Se volessimo semplificare potremmo dire che ogni qual volta gli americani esportano la democrazia, rimane poi solo da contare i cadaveri. [n.d.a.]

[7] "Garry Owen "

Una curiosità riguarda l’inno del 7° Cavalleggeri; Si tratta di un brano gaelico del '700, "Garry Owen " (Il giardino di Garry), già inno di battaglia dell'87° Royal Irish Fusiliers -un reggimento di fucilieri irlandese-, suggerito a Custer, nel 1867, dal Capitano Myles Keogh e suonato dalla formazione bandistica del 7° (13 musicisti e direttore Felix. Vinatieri – di chiara origine italiana -):

«Siamo l'orgoglio dell'Esercito ed un Reggimento di grande fama; il nostro nome è inciso nelle pagine della Storia dal '66 in poi. Se pensate che possiamo esitare o essere fermati mentre si va a combattere, guardate bene il nostro passo e le nostre teste alte quando la banda suona Garry Owen

Per estensione, i soldati del 7° erano anche noti come "i Garry Owen ".

Estratto da http://it.wikipedia.org/wiki/7%C2%B0_Cavalleggeri

 

Se interessa ai più è nota la parodia musicale che inizia con la strofetta “Era meglio morire da piccoli…” di chiaro stampo anti-militarista.

Infatti recita, integralmente:

Era meglio morire da piccoli... con i peli del culo a batuffoli... che morire da grandi soldati... con i peli del culo bruciati...”

[n.d.a.]

[8] Con New Deal si intende il piano di riforme economiche e sociali promosso dal presidente americano Franklin Delano Roosevelt  fra il 1933 e il 1937, allo scopo di risollevare il Paese dalla grande depressione che aveva travolto gli Stati Uniti d'America a partire dal 1929.

http://it.wikipedia.org/wiki/New_deal

[9] Carl Barks  (Oregon, 27 marzo 1901 – 25 agosto 2000) è stato un autore di fumetti statunitense.

http://it.wikipedia.org/wiki/Carl_Barks

[10]Doretta Doremì, in originale Glittering Goldie, è un personaggio creato nel 1952 (nella storia Zio Paperone  e la stella del polo) da Carl Barks , l'autore Disney noto come l'uomo dei paperi.

http://it.wikipedia.org/wiki/Doretta_Dorem%C3%AC

 

[14] Non male davvero… [n.d.a.]

[15] Mi è sempre piaciuto capire come e cosa è civile e cosa non lo è… Ma mi rendo conto che la domanda, retorica, sarebbe anche fin troppo inutile, oppure senza risposta. [n.d.a.]

[16] Frase pronunciata dal Gen. Philip Henry Sheridan , nel 1870, che peraltro era già familiarmente chiamato anche "The Burning" (L'incendiario).

Una curiosità: Come soldato e privato cittadino fu fondamentale per lo sviluppo e la protezione dello Yellowstone National Park

E

http://it.wikipedia.org/wiki/Philip_H._Sheridan

ed anche Cfr: http://www.consapevolezza.it/aetos/indiani/saggezza_indiana.asp

 

[17]La colonizzazione iniziò nel 1626, quando 30 famiglie olandesi e valloni si insediarono sull'isola di Manhattan  e nell'area del fiume Delaware. Il primo acquisto di terra dai nativi fu proprio Manhattan, comprata da Peter Minuit . La politica olandese era quella di richiedere l'acquisto formale di tutte le terre che colonizzavano, anche se il principio della proprietà della terra non era qualcosa che gli abitanti preesistenti riconoscessero, il che provocò delle incomprensioni. Ad esempio, la gente a cui Minuit "comprò" Manhattan non viveva sull'isola, e probabilmente questi gli vendettero una quota dei diritti di caccia.

http://it.wikipedia.org/wiki/Nuova_Olanda

[18]Son quasi costretto a mettere delle virgolette alla parola padrone, non riferito a colui che accudisce un animale domestico. Lo trovo talmente innaturale e per certi versi mostruoso che probabilmente vivo gli stessi impulsi di mio nipote Jurij.

[19] Per curiosità si può confrontare l’imperatore Claudio  ed i suoi liberti .

[20] Hermann Wilhelm Göring  tradotto anche come Goering (Marienbad nei pressi di Rosenheim, Germania , 12 gennaio 1893 - Norimberga , 15 ottobre 1946)

[21] Tutte le altre presunte razze non caucasiche invece rimasero escluse dai diritti civili per altri venti anni. Sarà negli anni 1960, a seguito delle numerose battaglie condotte dai moltissimi movimenti per i diritti civili, all'insurrezionalismo di Malcolm X e alla famosa marcia pacifica di Martin Luther King, che le leggi sulla segregazione razziale dei neri negli stati del sud verranno abolite dal governo federale, a quasi cento anni dalla loro entrata in vigore. Ciò avverrà nel 1964 con l'approvazione del Civil Rights Act e nel 1965 con il Voting Rights Act.

http://it.wikipedia.org/wiki/Razzismo

[22] Il Sogno Americano  è la speranza, condivisa da molti negli Stati Uniti d'America che attraverso il duro lavoro, il coraggio, la determinazione sia possibile raggiungere un migliore tenore di vita, per lo più attraverso la prosperità economica. Questi valori erano condivisi da molti dei primi coloni Europei, e sono stati poi trasmessi alle generazioni seguenti. Cosa sia diventato il Sogno Americano, è una questione continuamente discussa, e alcuni ritengono che abbia portato ad enfatizzare il benessere materiale come misura del successo e/o della felicità.

Questo ideale è strettamente correlato alla figura di Horatio Alger.

http://it.wikipedia.org/wiki/Sogno_Americano

 

[23] rimasi sempre molto impressionato da un discorso tenuto dall’attore Michael Douglas  nel film Wall Street : lo riporto integralmente:

«L'avidità, non trovo una parola migliore, è valida, l'avidità è giusta, l'avidità funziona, l'avidità chiarifica, penetra e cattura l'essenza dello spirito evolutivo. L'avidità in tutte le sue forme: l'avidità di vita, di amore, di sapere, di denaro, ha impostato lo slancio in avanti di tutta l'umanità. E l'avidità, badate bene, non salverà solamente la Teldar Carta, ma anche l'altra disfunzionante società che ha nome America. (Michael Douglas

[24] Sidney Poitier  (Miami, 20 febbraio 1927) è un attore statunitense.

Senza dubbio è l'attore di colore che più di ogni altro ha raggiunto le dimensione dell'icona a Hollywood . Dopo essere stato nominato come miglior attore protagonista per La parete di fango (1958), per la cui interpretazione vinse un premio BAFTA, ottenne il premio Oscar nel 1963 per l'interpretazione ne I gigli del campo, grazie al quale vinse pure il Golden Globe.

Nel 2001 gli è stato conferito l'Oscar alla carriera. A lungo è stato l'unico attore di colore insignito della massima onorificenza cinematografica, fino alla vittoria dell'Oscar di Denzel Washington nel 2002.

http://it.wikipedia.org/wiki/Sidney_Poitier

 

Maurizio OM Ongaro_La Frontiera(breve digressione ed analisi critica).

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